Non essendo abituata ad essere troppo compatita o confortata,
proseguivo nella quotidianità senza mostrare del tutto ciò che provavo.
Un dolore così grande era già un peso per me e non volevo che lo fosse anche per chi mi era accanto.
Quando mi sentivo molto giù di morale non facevo altro che prendermi amorevolmente cura dei miei amici più cari, della mia famiglia e di colui che nel frattempo era diventato mio marito.
La nostra vita era fatta di valori confortanti.
Cene frugali in compagnia, partite a carte, film, risate, viaggi e uscite fuori porta.
Il tempo passava in fretta. Prima i mesi e poi gli anni. Ma non mi liberavo di quel dolore che stava scavando un vuoto da qualche parte nel mio sentire che si riempiva di buio.
Io tornavo spesso a piangere là dove Katia era sepolta. Ma da sola.
Fuori era tutto perfetto ma dentro qualcosa era sempre in movimento intorno ad un nucleo silenzioso dove finivano tante domande.
Metaforicamente parlando un fiocco elegante di raso rosso era in cima a tutti i “regali” che avevo ricevuto,
ma era successo che nello slegare quel nastro mi ci ero impigliata dentro.
Le persone mi sorridevano, probabilmente credendo che l’avessi fatto apposta
per tenermi addosso il colore della vita.
Invece un pò mi toglieva il respiro.
Io in fondo mi chiedevo che senso avesse la mia esistenza.
Non ero lì solo per avere e per dare. Che per me è sempre stato un onore.
Ero lì soprattutto per perdere.
Alla soglia dei 30 anni ero convinta che ad ognuno spetti una vita che non può cambiare.
E che questa fosse la mia.
Anna_X
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