Capitolo 21

Alle 9,20 di quel mattino il ventre si è fatto improvvisamente rigido.
Ecco una contrazione. Intensa. Non troppo dolorosa.
L’ho riconosciuta subito.
Diversa da ogni altra sensazione provata nelle montagne russe dei mesi precedenti,
dove avevo sofferto di coliche addominali dolorose e spesso interminabili.

Ma questo non era un dolore. Era un miracolo.

Dopo 20 minuti, la seconda. Ed è stato come quando ti sposi e nonostante mesi e mesi a parlarne e provare l’abito, comprendi solo quando sei lì davanti all’altare che sta succedendo davvero.

Ho capito la differenza. Che ero una mamma davvero.

Ho dimenticato all’istante tutto il resto e mi sono distesa sul letto. Ho abbracciato il pancione e sottovoce ho detto: “dai che tra un pò ci vediamo”.

Un amore grande si è espanso intorno a noi, come a preparare l’aria giusta che potessimo respirare al nostro incontro. Come se non ce ne fosse altra di più buona da buttare nei polmoni.

Dopo due ore le strette del travaglio si presentavano ogni 30 minuti ed ero così felice da non provare nessuna paura. Il dolore è stato tanto, ma solo fino a quando l’ultima spinta se l’è portato via con sè.

Finalmente il mio bellissimo bambino era tra le mie braccia. Tutto era andato bene. Per lo meno per il piccolo.
Appena lasciato Giovanni alle infermiere infatti mi sono resa conto che alcune complicazioni durante il parto, mi avevano causato una grave ferita e di conseguenza un’ emorragia.
In pochi minuti le mie forze sono svigorite. La mente leggermente confusa, le mie mani sporche di sangue, i battiti accelerati. Ma io pensavo solo alla voglia scalpitante di rivedere mio figlio.

Dopo 40 minuti di medicazioni, scesa dal lettino della sala parto con l’aiuto di due infermiere, ho perso i sensi. Al risveglio, l’ho ritenuto un caso. Pochi minuti più tardi invece succedeva di nuovo. E poco dopo, un’altra volta ancora.

Un buio strano e sconosciuto mi impediva di assaporare il momento più bello della mia vita.
Per fortuna o per sfortuna non me ne rendevo conto ma stavo per scoprire che ero destinata a dover essere forte.

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