Una volta rientrata a casa, sono stata costretta a riposo per circa due mesi.
A causa dell’emorragia, avrei dovuto ricevere una trasfusione, scelta però che è stata esclusa per non provocarmi ulteriori complicazioni. O per lo meno così mi è stato spiegato.
Nei primi giorni, amici e parenti venivano a trovarci e ad aiutarmi. Ma dopo una settimana, forse due, ho iniziato a trascorrere molte ore da sola con il mio bambino.
Ero spossata e la ferita era ancora molto dolorosa. Come anche il busto e la schiena. Mi sentivo così debole da temere di cadere o avere un malore.
Me ne restavo ferma a letto, unico posto che dove le fitte da cui mi sentivo percorsa mi permetteva di rimanere, ad aspettare il rientro di mio marito la sera. Dopo 11-12 ore di assenza per lavoro.
Mi alzavo e camminavo solo quando necessario, con fatica.
Per cambiare il piccolo. Andare ai servizi.
Nessuno della famiglia poteva assentarsi dal lavoro per assistermi. In fondo non si capiva se fosse davvero necessario. Nessuno in ospedale ci aveva parlato di situazione straordinaria, illustrato alcun protocollo specifico.
Io aspettavo.
Forse potevo essere solo stanca.
Ma io non mi sentivo solo questo. Molte mamme riescono a camminare poche ore dopo il parto.
Escono a passeggiare.
Nella mia casa invece i giorni passavano e non riuscivo a recuperare le forze.
E avevo ancora tanto male.
E un pò, nonostate la gioia di essere mamma, cominciavo anche a sentirmi giù di morale.
Perché non capivo.
Quanto tempo sarei rimasta ancora in quelle condizioni?
Dove si era nascosta la felicità ?
Sono rimasta seduta sul pavimento per trenta minuti per pubblicare questo post e poi smaltire la tensione.
Del ricordo. Del trovare le parole giuste.
Da qui in poi sarà sempre così. Ma il mio perché è grande e nonostante ogni timore la mia storia, scorrerà sotto i tuoi occhi e ti porterà dove tutto questo avrà avuto un senso.
Che ora chiamo vita.
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