Fiduciosa ed entusiasta mi aspettavo piano piano di rinascere. Anzi con Marilena al mio fianco e il recupero del sonno speravo letteralmente di rifiorire. Avevo dentro la gioia immensa di essere divantata madre. Ero pronta ad andare dritta per una strada che ora sarebbe stata meno complicata. Certo lavorare attraverso la psicoterapia era tutt’altro che facile. Ma da sempre la speranza era sufficiente per farmi ripartire comunque ogni giorno.
Invece, come in un’inversione a U, è successo che Giovanni adesso si addormentava e dormiva profondamente ma io ero ancora nello stesso identico stato. E non riuscivo a prendere sonno. Nè una, nè due, nè dieci, nè cento notti dopo.
Durante le quali un’ansia ancora più fuori controllo mi ha fagocitata.
Cercavo di fare una cosa qualsiasi ma il cuore mi batteva forte. Respiravo affannosamente. Parole risuonavano nella mia testa come un tedio. Non riuscivo a fermarle. Mi veniva da piangere. Più di prima. Con gli occhi pieni di terrore, capivo solo che si stava delineando una situazione ben più grave di tutto ciò che era stato fino ad adesso.
Era sembrato che fosse dipeso dal sonno scostante del nostro bambino, invece il problema ero proprio io.
Cercavo in tutti i modi di reagire: parlando con amiche e counsellor, cercando di fare cose normali come guardare un film, una piccola passeggiata fuori di casa.
Ma ogni tentativo era vano.
Mi assalivano improvvisi tremori, stati di agitazione profonda ed incontrollata. Si protaevano per decine di minuti. A volte ore. Sempre più spesso.
Così piangevo. E più piangevo, più avrei pianto. Calmarmi era impossibile. Ogni giorno di più,stremata da quelle che ho cominciato a definire “crisi”, il mio corpo si contraeva ed i muscoli mi stringevano come in una morsa. Quando Giovanni non era con me, raggomitolata a pugni chiusi, nei convulsi di pianto trattenevo a lungo il fiato. Ero rassegnata al pensiero di soffocare una volta o l’altra. Mi giravo e rigiravo nel letto, percorsa da dolori e tremiti. Le punte delle dita bianche, insensibili.
Le labbra graffiate dai denti.
Ero lo scudo umano per la bomba che esplodeva. Dentro di me
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