Dopo quella notte, mi sono presa del tempo per capire come avrei potuto portare
il cambiamento che dovevo alla mia vita, senza che crollasse.
Ma lei ha fatto il suo corso come se fosse senza il mio consenso.
Una mattina ho avuto un mancamento che non ho potuto nascondere.
Mio marito mi ha chiesto se stessi nascondendo di avere un male incurabile. Intendeva un cancro.
Sono crollata a piangere. Per l’ennesima volta, sì.
Ma questa volta perchè quello era proprio il nostro fine corsa. Un cancro.
Perchè il resto non esisteva.
Il mio corpo non reggeva più.
Ma quello che non reggeva più davvero era il mio cuore.
Contavo su persone che mi avrebbero considerata solo davanti a numeri spaventosi su un referto medico.
Non era giusto. Non sarà mai giusto.
Voglio soffermarmi ancora ed essere chiara sulle conseguenze emotive che questa situazione ha generato.
Perchè vista da fuori una situazione che non si conosce bene, sembra svolgersi a causa di scelte superficiali o addirittura egoistiche.
Invece dietro ad una persona in difficoltà c’è sempre un’intera famiglia che lo è con lei.
O lo è altrettanto.
Da quattro anni sentivo di dover cercare risposte.
Ma non riuscivo ad andare da nessuna parte da sola. Eccezion fatta per la psicoterapia.
Ho perso il conto di quante volte avevo chiesto di essere accompagnata da specialisti, finchè avessimo trovato qualcuno disposto a credermi. Non ero mai riuscita a superare la paura di presentarmi da sola in ospedale a raccontare ciò che mi stava succedendo. Allo stesso tempo i miei famigliari erano probabilmente scioccati dal mio stato d’animo e dal mi comportamento e non pensavano a questa eventualità. Era stata una cosa improvvisa, imprevista ed incomprensibile anche per loro. E hanno reagito come hanno potuto.
Io pensavo sempre: “Se vado in ospedale e mi dicono che sono instabile o pazza? Se mi allontassero da Giovanni? Se la mia famiglia che mi ama non mi crede, come faccio a spiegare a degli sconosciuti che sto soffrendo atrocemente ma che sono certa che non dipenda dalla mia volontà? ”
Ero certa che mi avrebbero costretta ad affrontare delle cure. Per risolvere o quantomeno tamponare l’emergenza. Per come stavano le cose, avrei dovuto farlo senza la comprensione della mia famiglia. Magari mi avrebbero ricoverata. E di sicuro non avrei retto ad una separazione da Giovanni.
Avevo conosciuto decine di neo mamme in crisi a cui medici, famiglia e società avevano risposto con la stessa fredda procedura: antidepressivi.
Loro si gestivano da sole senza sostegno psicologico, senza aiuto in casa, senza supporto per gestirne gli effetti collaterali e la dipendenza.
E l’enorme incertezza che lasciavano in loro come esseri umani di classe B.
Dovevo fermare questa cosa. Anzi tutto questo.
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