Avevo 17 anni quando in meno di tre mesi, il mio nonno soffice si è ammalato gravemente. E se ne è andato per sempre. Lasciando un grande silenzio dentro di me.
Spegnendo una voce che fino ad allora mi aveva allietata con allegre canzoni e ricordi di profumi.
E di un amore tenero.
Al suo funerale mia madre non c’era. Anche lei era ricoverata in ospedale. Un intervento molto invasivo, il secondo in tre anni, l’aveva obbligata ad un lungo ricovero e non le aveva permesso di dire addio a suo padre. Dalla finestra della sua stanza, ha visto scortare il feretro senza sentire il rumore che quel giorno faceva. Oltre il vetro da cui vedeva andarsene via un punto di riferimento della sua vita.
In ospedale avevamo alternato le visite andando a trovarli in reparti diversi. Poco distanti ma allo stesso tempo lontani. Come noi tutti rapiti da mute preoccupazioni.
Dopo il primo intervento di tre anni prima, una ricaduta aveva costretto mia madre ad un nuovo ricovero. E ad una cicatrice che avrebbe odiato per sempre. Il dolore non l’abbandonava. Ricordo di aver provato una paura angosciante che morisse. I suoi lamenti mi facevano temere che anche le mie parole potessero aggravare il suo dolore. Allora me ne stavo zitta, immobile accanto al suo letto di ospedale. Nella penombra di una luce fioca. Stavo seduta su una sedia rigida e scivolosa che ad ogni movimento scricchiolava nervosamente. Cercando di in qualche modo di non esserci. Ascoltavo. Pregavo.
Poi a casa piangevo. A lungo. Fino a non poterne più. Ma solo se ero sola.
In quel periodo ero in difficoltà anche a scuola. Studiare era una fatica e affrontare le prove in classe un vero problema.
Però almeno mamma sarebbe tornata.
La perdita del nonno materno ha significato per me la fine della sensazione di avere qualcuno a casa ad aspettarmi.
Con la sua perdita, la mia vita ha perso un grande dono che sentivo di aver avuto.
E la stabilità. Il cielo era sotto i miei piedi.
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Anna_X
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